Carlo V è l'ultimo grande imperatore cattolico, fedele alla Chiesa di Roma in un periodo turbolento e drammatico per la storia del cristianesimo, segnato dalla frattura epocale dello scisma protestante: una spaccatura dolorosa che porterà a sanguinose ritorsioni politiche e all'arroccamento del papa e dei vertici ecclesiastici su posizioni conservatrici e generalmente oscurantiste. Ma come si era arrivati allo strappo di Lutero? E quali furono le conseguenze della dura reazione delle gerarchie vaticane?
Tutto ha inizio nel 1517, due anni prima dell’elezione imperiale di Carlo V, quando in Germania Martin Lutero, un frate agostiniano, condannò pubblicamente la vendita delle indulgenze, vale a dire la pratica che, in cambio di denaro, prometteva l’attenuazione delle pene ai fedeli. Nel negare il valore delle indulgenze, Lutero contestava che la salvezza eterna potesse essere ottenuta con le buone opere: al contrario, sosteneva, essa poteva essere raggiunta solo per mezzo della fede. A partire da questi presupposti, e prendendo come punto di riferimento normativo le sole Scritture, il frate agostiniano mise in discussione i punti centrali della dottrina cattolica, dal numero dei sacramenti al ruolo dei sacerdoti, dalla natura dell’eucarestia alla funzione stessa del papa.
Le idee “protestanti” si diffusero rapidamente in gran parte della Germania, appoggiate anche da molti sovrani tedeschi insofferenti al controllo della Chiesa di Roma. Di fronte al dilagare della ribellione religiosa, nel gennaio del 1521 papa Leone X decise di scomunicare Lutero, avendo registrato il fallimento di ogni tentativo di riportare il frate alla dottrina tradizionale cattolica. Pochi mesi dopo, l’imperatore Carlo V, preoccupato dalla delicata situazione che si stava creando nei territori tedeschi, chiese a Lutero di ritrattare pubblicamente le sue idee in occasione della prima Dieta dell’impero che si tenne a Worms nel mese di aprile del 1521. Ma il monaco si rifiutò di obbedire all’imperatore, e fu dunque messo al bando e la sua dottrina venne condannata come eretica.
La diffusione delle sue idee in tutta Europa sembrava però a quel punto inarrestabile. La reazione della Chiesa non si fece attendere e prende il nome di Controriforma: il Concilio di Trento, riunito nella città italiana tra il 1545 e il 1563, ne fu la principale espressione. Sul piano dottrinale, i padri conciliari operarono una netta chiusura al protestantesimo, negando la tesi luterana del sacerdozio universale dei credenti, riaffermando l’autorità della Chiesa nell’interpretazione delle Sacre scritture e confermando il valore delle opere buone per la salvezza dell’anima; essi inoltre riconobbero la superiorità del papa, ribadirono la validità dei sette sacramenti e raccomandarono la venerazione dei santi e della Vergine.
Ma la Chiesa uscì dal Concilio profondamente riorganizzata anche sul piano disciplinare: fu infatti confermato l’obbligo del celibato ecclesiastico, furono istituiti i seminari per dare valida preparazione spirituale al clero e tutti i sacerdoti furono costretti a risiedere nella propria sede. Il latino venne imposto come lingua ufficiale della Chiesa, ma per far conoscere i principi fondamentali del cattolicesimo alla gran massa dei credenti fu istituito il catechismo.
La Sacra Congregazione del Santo Uffizio e l’Indice dei libri proibiti rappresentarono il volto apertamente repressivo della Controriforma. Il tribunale dell’Inquisizione condusse infatti una dura lotta contro ogni forma di eresia e la censura cercò di contrastare la Riforma imponendo un controllo serrato proprio sullo strumento di comunicazione che aveva favorito la circolazione delle idee luterane: la stampa.
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