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Festeggia settant'anni Marina Abramović, simbolo della performance corporea

Marina Abramović, la “nonna della performance art”, come si definisce lei stessa, il 30 novembre compie settant'anni. E festeggia con un'autobiografia nuova di zecca, Attraversare i muri, 410 pagine che raccontano la sua vita senza filtri, l'infanzia nella Jugoslavia appena liberata dal nazifascismo e la propria educazione in una famiglia di eroici partigiani titini; la fuga dal paese socialista e i suoi primi passi nel mondo dell'arte; i suoi incontri e le sue storie d'amore, prima fra tutte il connubio intimo e creativo con Ulay; una narrazione fiume nel quale Abramović, come accade nelle performance, si mette a nudo e libera le proprie emozioni.

Ripercorriamo la carriera di questa grande artista ricordando alcune delle sue azioni più importanti.

 

Rhythm 10
È il 1973 e Marina Abramović presenta questa performance al Festival di Edimburgo. Lo spunto è un antico gioco, o meglio una prova di coraggio rituale russa, che consiste nel colpire ritmicamente con un coltello lo spazio tra le dita aperte della mano. L'artista dispone davanti a sé 22 coltelli e un registratore audio: ogni volta che sbaglia il colpo e si taglia cambia lama; quando esaurisce i coltelli ferma la prova, riavvolge il nastro e ascolta la prima azione. Dopodiché cerca di ripetere gli stessi gesti, con lo stesso ritmo e anche con le stesse ferite, tentando di sincronizzarsi con la registrazione audio. Lo scopo di una performance così logorante? Saggiare e oltrepassare i limiti fisici e mentali del proprio corpo.

 

Rhythm 0
Qual è il ruolo del pubblico al cospetto di una performance? E quali sono i limiti che può valicare? L'azione messa in atto nella galleria napoletana Studio Morra nel 1974 si muove proprio in questa direzione: settantadue oggetti e una modella – la stessa Abramović – a disposizione degli spettatori, liberi di fare del corpo dell'artista ciò che desiderano. Sul tavolo ci sono scarpe, piume, bottiglie, una rosa, ma anche strumenti di violenza e morte come lamette, fruste, catene e pistole: inizialmente il pubblico si muove con circospezione e imbarazzo, ma via via le sue reazioni diventano più convulse e feroci, c'è chi le strappa gli abiti, chi la palpa, chi tenta di proteggerla e chi le mette una pistola carica tra le mani. Come da disposizioni l'azione dura sei ore, alla fine delle quali la sala e il corpo di Abramović appaiono come un campo di battaglia: «Il pubblico può uccidermi» aveva dichiarato prima della performance.

 

La collaborazione con Ulay
Nel 1976 Marina Abramović incontra ad Amsterdam l'artista tedesco Ulay; per oltre dieci anni saranno compagni inseparabili di vita e di arte: «Noi siamo un uomo-donna. Io sono una metà, lui è l'altra metà, e insieme siamo un'unità». Tra le loro azioni più conosciute Imponderabilia, nel quale Marina e Ulay si pongono l'uno di fronte all'altro, completamente nudi, lasciando fra i due corpi uno spazio esiguo, appena sufficiente per il passaggio degli spettatori, costretti al contatto spesso impacciato con i performer. Oppure Breathing in/Breathing out riflessione esplicita sul tema della coppia: i due artisti restano bocca a bocca per venti minuti, respirando il respiro dell'altro fino al punto in cui l'aria emessa diventa satura e i polmoni sono riempiti soltanto di anidride carbonica.

Struggente e sicuramente la più poetica della loro produzione è la performance che suggella nel 1988 il loro addio, The Great Wall Walk: una camminata lungo la Muraglia Cinese a partire da due direzioni opposte, per incontrarsi dopo settimane, ricongiungersi e salutarsi per sempre.

The artist is present
Una delle ultime grandi performance di Abramović, eseguita al MoMA di New York nel 2010. Una prova artistica meno violenta e pericolosa rispetto ad altre, ma certamente faticosa ed estenuante dal punto di vista fisico ed emotivo: per tre mesi ogni giorno, dall'apertura alla chiusura del museo, Abramović è seduta quasi immobile nell'atrio, un tavolino a dividerla da chiunque voglia partecipare guardandola fisso negli occhi. Ancora una volta l'esplorazione del rapporto tra creatore e spettatore, ma anche dell'identità personale e dello sguardo interiore; un'azione che vede il suo momento più toccante nell'incontro, dopo anni di separazione, con Ulay, unico a cui sarà concesso di toccare l'artista, allungando le braccia fino a prenderle le mani.

 

Per approfondire la performance artistica guarda l'intervento del critico d'arte Michele Dantini