Di pochi artisti abbiamo un numero così elevato di autoritratti quanto di Rembrandt, che ha continuato a ritrarsi lungo tutto il corso della sua vita. Si calcolano infatti una cinquantina di dipinti, trentadue acqueforti e sette disegni, in tutto un corpus di circa novanta opere che documentano il trascorre del tempo sulla fisionomia dell'artista: dal ragazzo poco più che ventenne con i “capelli scompigliati” all'anziano uomo con le mani giunte ritratto a pochi mesi dalla morte, avvenuta il 4 ottobre del 1669.
Un'interesse verso la propria figura che è stata variamente interpretata da storici dell'arte e da psicologi, che nei tanti volti di Rembrandt hanno letto a seconda dei casi un'ossessione, un dialogo intimo con il proprio io o una sorta di autoanalisi ante litteram. Altri studiosi si sono soffermati invece sul metodo usato dal pittore per eseguire con tanta abilità queste opere: è il caso dell'inglese Francis O'Neill, che in un articolo recente sostiene che l'artista olandese abbia dipinto immagini così precise grazie a un ingegnoso sistema di specchi in grado di proiettare l'immagine su una superficie piana.
Quali siano state le motivazioni psicologiche o gli stratagemmi di esecuzione resta l'indubbia bellezza degli autoritratti di Rembrandt, le sottili variazioni di umore descritte in punta di pennello, l'uso magistrale della luce e del colore, elementi che rendono queste tele dei capolavori immortali della storia dell'arte.
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