In Inghilterra il dibattito impazza sulle pagine dei quotidiani: è giusto che in una società multietnica come quella britannica si studino principalmente se non esclusivamente filosofi bianchi e occidentali? La richiesta è partita dalla School of Oriental and African Studies (SOAS) dell'Università di Londra, dove alcuni studenti hanno chiesto di dare più spazio ai pensatori asiatici e africani a scapito dei loro colleghi bianchi: un'operazione di decolonizzazione filosofica in qualche maniera. Non è il primo caso di protesta “razziale” nei college d'oltremanica: l'anno passato per esempio una vibrante campagna chiese invano alla celebre Oxford University di rimuovere la statua di Cecil Rhodes, il politico simbolo del passato coloniale inglese.
L'Unione degli studenti, promotrice dell'iniziativa, ha comunicato le linee guida di questa proposta, che «mira ad affrontare l'eredità strutturale ed epistemologica del colonialismo all'interno del nostro ateneo». Tra le richieste vi sono una più ampia discussione sulle disparità economiche e razziali dentro l'università; una maggiore riflessione sulle origini coloniali del SOAS, nato cento anni fa, dunque nell'epoca d'oro dell'Impero britannico; il coinvolgimento nella didattica degli studenti di colore; e infine la revisione dei programmi di studio, focalizzandoli sugli autori del Sud e dell'Est del mondo. Poi, se proprio è necessario inserire dei filosofi occidentali, afferma il documento, che almeno lo si faccia da un punto di vista critico, per esempio sottolineando il contesto coloniale nel quale agiscono gli illuministi europei. Dunque, l'uguaglianza non si misura solo in diritti politici e sociali – benché ne costituiscano la base – ma anche sul piano culturale; e in questo ambito, secondo i ragazzi del SOAS di strada ce n'è ancora parecchia da fare.
Dalle aule universitarie la notizia è rimbalzata sui media inglesi, dove ha scatenato le reazioni più diverse. Se The Independent ha provato a capire le motivazioni di fondo e ha intervistato la dottoressa Deborah Gabriel, fondatrice del gruppo Black British Academics, cercando di approfondire il punto di vista di un'intellettuale di colore, il Daily Mail, tabloid conservatore incline allo scandalo e alla polemica ha assunto una posizione assolutamente contraria verso la presunta decolonizzazione culturale. Il titolo dell'articolo non lascia ombra di dubbio: “They Kant be serious!” con l'ormai abusato gioco di parole sul nome del filosofo tedesco.
Ai nostri occhi la campagna dell'Unione studentesca del SOAS può forse apparire eccessiva e provocatoria, ma il problema sollevato all'Università di Londra è complesso e non è affatto una questione di politicamente corretto. Riguarda al contrario l'uso della cultura come strumento di potere, attraverso il quale si costruisce, si diffonde e si consolida una visione parziale della realtà. In questo caso una prospettiva assolutamente eurocentrica del pensiero, che ignora i contributi giunti nel corso della storia dagli altri continenti: tanto per fare un esperimento, quanti filosofi – ma potremmo dire scrittori, artisti o scienziati – africani o asiatici conoscete? Personalmente pochissimi, eppure non c'è dubbio che ce ne siano stati parecchi e anche un semplice giro su Wikipedia ve lo confermerà. Restano discutibili i mezzi individuati dagli studenti per opporsi alla supremazia culturale occidentale, perché rispondere all'oblio con l'eliminazione sembra più una scorciatoia o una vendetta. Come sostiene la stessa professoressa Gabriel nell'intervista all'Independent: «Se non conosci i filosofi bianchi come puoi criticarli?».