Nate all'indomani della Prima guerra mondiale, in quasi cent'anni le macchie di Rorschach sono diventate il sinonimo di test psicologico e sono entrate di diritto nella cultura di massa: le troviamo in film di successo come Armageddon, dove servivano a selezionare gli astronauti per la missione salvapianeta, sono l'ispirazione della maschera di Watchmen, il supereroe dei fumetti di Alan Moore; compaiono un po' manipolati nei cartoni animati dei Simpsons e nel video di una hit planetaria di qualche anno fa, Crazy dei Gnarls Barkley; si possono persino indossare sotto forma di t-shirt e a esse Andy Warhol dedicò una sua opera. Eppure il metodo creato da Rorschach ebbe un inizio difficile e fu accolto con diffidenza dalla comunità scientifica. Era il 1921 quando lo psichiatra svizzero riusciva a pubblicare il libro Psychodiagnostik, che contiene il primo nucleo del suo test, ma lo studio passò quasi sotto silenzio: ci vorranno infatti dieci anni per una seconda edizione del volume, nel frattempo ampliato e migliorato da altri psicologi, e venti per la sua traduzione in inglese, che segnerà la sua definitiva affermazione. Ma come è nato il test di Rorschach? Che cosa ispirò il suo geniale creatore? Ad aiutarci è un volume da poco edito negli Stati Uniti e scritto dallo storico della scienza Damion Searls, The Inkblots: Hermann Rorschach, His Iconic Test, and the Power of Seeing, la prima biografia dedicata al grande psichiatra.
Sicuramente non fu solo la scienza. Hermann Rorschach era infatti un appassionato d'arte, si cimentava egli stesso come un pittore dilettante ed era molto interessato alle avanguardie artistiche e ai loro nuovi linguaggi figurativi. E in mezzo alle immagini era cresciuto il futuro psichiatra: era figlio di un pittore che insegnava nella Scuola di Arti Applicate di Zurigo, sua città natale e capitale culturale della Svizzera a cavallo fra i due secoli: non dimentichiamo che fu proprio in un locale di Zurigo che nel 1916 nacque il Dada, probabilmente il movimento più dirompente nella storia recente, che capovolgeva la logica e la ragione, esaltava la libera associazione e l'invenzione creativa. Già da piccolo Rorschach passava le ore a giocare con le cosiddette “Klecksografie”, figure formate versando l'inchiostro su un foglio e piegandolo a metà, così che, con un po' di immaginazione, le macchie si trasformavano in disegni fantasiosi. Vi ricorda qualcosa vero? Il passatempo era quasi un'ossessione per Rorschach, tanto che i suoi compagni di scuola lo avevano soprannominato proprio “Klecks”: quella smania non svanì nel corso del tempo e, una volta intrapresa la carriera scientifica, quei disegni diventarono la base per il suo rivoluzionario test, un esame che univa inconscio e immaginazione, Freud e il dadaismo. L'assunto dello studioso svizzero era quello di trovare delle figure standard, capaci di fornire una chiave di lettura abbastanza precisa della psiche del paziente in base alla sua interpretazione. Nel 1917 dal remoto ospedale psichiatrico in cui lavorava, quello di Herisau, nel cuore delle Alpi Svizzere, Rorschach realizzò e sperimentò sui suoi assistiti le quindici macchie d'inchiostro che rappresentano il nucleo originario da cui si è poi sviluppato il test: per quattro anni ancora perfezionò le ricerche e lottò per farle divulgare; il suo libro venne rifiutato da ben sei editori e per diminuire i costi fu ridotto a dieci figure. Finalmente il volume nel 1921 venne pubblicato, ma l'anno successivo il suo ideatore morì di peritonite senza aver assistito al personale trionfo. Ci vorranno, come detto, almeno vent'anni e il suo sbarco negli Stati Uniti, prima che il test di Rorschach acquisti quella straordinaria popolarità che ancora oggi conserva immutata, nonostante i problemi metodologici e di utilizzo che continuano a costituire motivo di dibattito tra gli addetti ai lavori.