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L'arte degli emoji: il MOMA li celebra con un'installazione


 

Li usiamo tutti i giorni per esprimere i nostri stati d'animo, per avvisare che stiamo ridendo o che siamo arrabbiati, gli emoji fanno ormai parte della vita di tutti noi, o perlomeno di chiunque possegga uno smartphone o comunichi online, tanto che sembrano essere sempre esistiti. Ma questi simboli così familiari ovviamente hanno una storia e un creatore: l'anno è il 1999 e l'ideatore è un giovane programmatore giapponese, Shigetaka Kurita, che lavora per uno dei maggiori operatori di telefonia mondiale. L'obiettivo è quello di usare negli sms delle immagini stilizzate invece delle lettere dell'alfabeto, in modo da risparmiare sul numero dei caratteri, che al tempo erano piuttosto ridotti. Nascono così i primi 176 emoji e per realizzarli Kurita si ispira agli ideogrammi cinesi, ai disegni dei manga e ai cartelli stradali. Quasi venti anni più tardi quelle figurine sono decuplicate e oggi si può scegliere tra circa 2.000 faccine, oggetti, cibi e animali.

La loro importanza nella cultura globale è stata ufficializzata nel 2015, quando l'Oxford Dictionary ha eletto “emoji” parola dell'anno; ciò che ancora mancava era il riconoscimento artistico del lavoro di quel geniale informatico orientale. Questo traguardo è stato infine raggiunto lo scorso ottobre: uno dei templi dell'arte contemporanea, il MOMA di New York, ha deciso di esporre in un'installazione le 176 piccole immagini create da Kurita. Gli emoji saranno presentati sia in versione statica che animata in modo da mettere in risalto tutto il loro potenziale comunicativo e iconografico che affonda le radici nel passato. Come spiega la curatrice del dipartimento di design del museo, Paola Antonelli, gli emoji sono “una nuova piattaforma per la comunicazione. Al tempo stesso, sono degli ideogrammi, una delle forme più antiche per comunicare. È affascinante come le diverse epoche sono in qualche modo connesse tra loro”.