Oltre agli aspetti scientifici, nel grande libro sulla natura che Newton scrisse c’è anche molta filosofia, nel senso moderno della parola. Per esempio, egli immaginò che gli oggetti con cui noi abbiamo a che fare nella nostra esperienza quotidiana, e quelli con cui hanno a che fare gli astronomi nella loro esperienza scientifica, fossero immersi in uno spazio e in un tempo assoluti, immutabili ed eterni.
Lo scienziato inglese pensava che lo spazio e il tempo fossero i “sensori di Dio”, nel senso che Dio era sì esterno all’universo, ma poteva percepirlo proprio attraverso questi “sensori”. Opportunamente modificata, questa idea divenne poi uno dei fondamenti della Critica della ragion pura di Kant, in cui lo spazio e il tempo giocano il ruolo degli “a priori” della nostra sensibilità.
Effettivamente, tra i primi a interessarsi del lavoro di Newton ci furono appunto i filosofi, come il celebre pensatore inglese, John Locke, padre dell'empirismo e buon amico dello scienziato.
Ma fu un altro celebre intellettuale francese, Voltaire, che si prese il compito di divulgare e di esporre il sistema newtoniano in una forma comprensibile alla gente comune. Voltaire aveva passato alcuni anni in Inghilterra, tra il 1726 e il 1729; non aveva mai conosciuto Newton, ma era andato al suo funerale nel 1727, rimanendo molto stupito da questa grandiosa cerimonia funebre, in cui uno scienziato “era stato sepolto come un re che avesse fatto del bene ai suoi sudditi”.
Tornato in Francia, Voltaire scrisse le famose Lettere sugli inglesi o Lettere filosofiche, che raccontarono ai francesi come funzionava il sistema inglese, quali erano la sua filosofia e la sua scienza. Quattro di queste lettere sono dedicate a una prima esposizione, molto concisa, ma molto precisa ed efficace, del sistema newtoniano.
Il libro fece scandalo in Francia, in particolare perché Newton faceva a pezzi la filosofia cartesiana, che costituiva il fondamento della filosofia francese. Le Lettere filosofiche furono bruciate sul rogo, e Voltaire si rifugiò in un castello a Cirey, insieme alla moglie di un marchese che divenne la sua amante, la famosa Émilie du Châtelet: in questa dimora la coppia rimase per una decina d’anni. In questo lasso di tempo, tra le altre cose, i due amanti si misero anche a studiare i Principia e l’Ottica di Newton, cioè i due grandi capolavori dello scienziato inglese, e divennero i primi divulgatori del suo pensiero scientifico.
La marchesa, tra l’altro, a smentire i pregiudizi misogini, era un’ottima matematica. Fu lei a enunciare per la prima volta quello che oggi viene chiamato il “principio di conservazione dell’energia”.
Fu lei a notare addirittura un errore commesso da Newton nei Principia, a proposito della forma matematica dell’energia. E fu sempre lei a tradurre i Principia in francese, una traduzione divenuta un vero e proprio classico, tanto da venire letta ancora oggi in Francia.
Inoltre, la marchesa e Voltaire scrissero insieme un libro meraviglioso, che racconta al pubblico istruito le idee che Newton nascose dietro il velo del linguaggio matematico. Questa esposizione, pubblicata nel 1738, si intitola Éléments de la philosophie de Newton, “Elementi della filosofia di Newton”, e rimane forse ancora oggi la migliore divulgazione dei Principia.
Scopri Newton e la Rivoluzione Scientifica nella conversazione a cura di Paolo Rossi