Ma siamo sicuri che la democrazia sia esclusiva dell'Occidente fin dai tempi dell'Atene di Pericle? E se anche dall'altra parte dell'oceano si fossero sviluppate delle società non governate da singoli sovrani ma da organismi collegiali? Gli studi sul sito messicano di Tlaxcallan, risalente intorno al 1250, hanno consegnato delle prove sorprendenti che mettono in discussione le nostre certezze sulle civiltà mesoamericane. Se infatti film e romanzi contemporanei ci avevano consegnato l'immagine di sistemi di potere tirannici e re venerati come divinità che facevano il bello e il cattivo tempo, le ultime scoperte hanno invece rivelato una realtà decisamente diversa. O meglio, hanno dimostrato che accanto a quei governi tirannici esistevano anche delle comunità in cui il comando era condiviso da più persone e in cui vigeva persino un maggiore equilibrio sociale.
La prima cosa che è saltata agli occhi degli archeologi è stata la profonda differenza urbanistica tra la maggior parte delle città della regione e Tlaxcallan: un aspetto significativo che si può collegare proprio alla diversa organizzazione politica. Per esempio, la capitale del potente regno azteco, Tenochtitlan, già a partire dalla struttura si mostra come espressione di un potere autocratico e autoritario, nel quale un re dominava sul resto della popolazione: un “centro direzionale” nella piazza principale, formato dai palazzi di governo e dai templi, attorno al quale erano disperse le abitazioni della gente comune. A Tlaxcallan non si sono trovate tracce di questa “cittadella” esclusiva, ci sono al contrario prove dell'esistenza di una grande costruzione appena fuori dai confini della città e in grado di ospitare dai 50 ai 200 uomini. Un edificio atipico che ha fatto subito pensare, e con buone probabilità, a un “senato” in cui si riuniva l'assemblea dei rappresentanti politici. Anche gli scavi di Tres Zapotes, una delle località sulla costa del golfo, hanno riservato delle sorprese, mettendo in luce un fenomeno ancora diverso: quattro piazze principali, tutte risalenti allo stesso periodo, ognuna delle quali con le sue piramidi e spazi pubblici indipendenti, segno di una verosimile condivisione del potere da parte di quattro fazioni.
Un'ulteriore indizio delle diversità presenti nel Messico precolombiano è stato offerto dai manufatti ritrovati nei vari siti: stiamo parlando delle ceramiche decorate, che generalmente erano considerate beni di lusso e rinvenute solo in tombe e palazzi reali, mentre a Tlaxcallan e Tres Zapotes erano possedute anche dalla popolazione comune, tanto che in questi centri, come affermato da uno dei protagonisti della ricerca, l'archeologo Lane Fargher, «non è possibile a distinguere i ricchi e i poveri in base ai loro oggetti». Certo non la dimostrazione di una società egualitaria, ma sicuramente un legame tra istituzioni più aperte e condizioni di vita migliori per gli abitanti.
Queste scoperte aprono dunque una nuova prospettiva sulle civiltà mesoamericane, ma sarebbe meglio dire che danno maggiore vigore agli studi intrapresi a partire dagli anni Settanta dall'antropologo americano Richard Blanton, i cui libri hanno fatto conoscere al mondo la realtà di Tlaxcallan e delle comunità stanziate nella valle dell'Oaxaca. Realtà a onor del vero già descritte da missionari e conquistadores del Cinquecento, le cui cronache di spietati regimi tirannici e di democrazie ante litteram non erano quindi solo il parto della fantasia ma frutto di osservazioni autentiche.