Nel 1854, nominato professore di chimica alla facoltà di scienze di Lilla, Pasteur iniziò a occuparsi di fermentazione, stimolato dalle richieste dei produttori di bevande alcoliche della regione. A quel tempo il vino veniva preparato aggiungendo lievito al mosto che poi riposava alcune settimane. La trasformazione del mosto in alcool si chiama fermentazione.
Dopo la fermentazione il vino passava nelle botti prima di essere imbottigliato. Alcune volte il vino diventava acido e imbevibile. Gli scienziati dell’epoca ritenevano che la fermentazione alcolica fosse un fenomeno esclusivamente chimico; Pasteur riuscì invece a dimostrare il ruolo essenziale svolto in questo processo dai microrganismi e in particolare dal lievito. Infatti esaminò il lievito e capì che le minuscole sfere che lo costituiscono erano esseri viventi. Scoprì, inoltre, che le cellule nel vino buono erano sferiche, quelle del vino cattivo erano più allungate. Giunse alla conclusione che quelle allungate non servissero a produrre alcool e fossero di una specie diversa. Per evitare l’inacidimento bisognava eliminarle.
Pasteur scoprì che era sufficiente riscaldare il vino a 50 gradi per uccidere gli organismi indesiderati. Si trattava di eliminare sostanze quali l’acido lattico o l’acido acetico nelle bevande alcoliche che sono dovute alla persistenza, all’interno di questi prodotti, di microrganismi di varia natura, tra cui i batteri. Grazie a queste scoperte fu possibile elaborare sistemi efficaci di eliminazione dei microrganismi dannosi, che rappresentavano un grave problema economico per l’industria vinicola. L’interesse di Pasteur per la birra richiese invece una spinta ben più decisa, lo scoppio della guerra franco-prussiana del 1870-1871. L’odio nei confronti degli invasori tedeschi lo indusse a sfidare il nemico in uno dei settori in cui si sentiva più forte: la produzione della birra. La Germania faceva infatti della birra non solo un suo emblema, ma anche uno dei capisaldi della sua industria agricola.
Secondo Pasteur la Francia avrebbe dovuto competere con i tedeschi, producendo una birra di migliore qualità e, soprattutto, facile da esportare grazie alla lunga conservazione (il vino in questo caso aveva insegnato molto). La soluzione consisteva nell’utilizzare un lievito che fosse privo di contaminazioni, in grado di conservarsi a temperatura ambiente. Pasteur stesso provò a produrre birra con il suo nuovo metodo. Incoraggiò così alcuni produttori ad adottarlo e ottenne successi anche all’estero. In Danimarca Karl Jacobsen potè dare nuovo vigore all’industria paterna, la Carlsberg, grazie ai metodi di Pasteur, a tal punto da esporre 200 milioni di ettolitri di birra l’anno. L’estensione di queste ricerche ai problemi di conservazione del latte lo portarono a ideare il processo, oggi conosciuto con il nome di pastorizzazione, che consente di uccidere i microrganismi dannosi eventualmente presenti nel latte, portando il liquido a 60-70°C per breve tempo prima dell’imbottigliamento. In seguito, le tecniche di trattamento termico dei cibi si sono evolute e diversificate rispetto all’iniziale scoperta di Pasteur. L’aumento della temperatura infatti va a detrimento del contenuto nutrizionale degli alimenti. E per ottenere un prodotto igienicamente sicuro che conservi le proprietà originarie sono state studiate altre combinazioni temperatura-tempo, altrettanto efficaci ma meno dannose per il valore nutritivo. Altri trattamenti termici, segnalati dalle sigle HTST (High Temperature/Short Time) e UHT (Ultra High Temperature) che si trovano frequentemente sui nostri alimenti, sono stati introdotti in anni più recenti per migliorare la sicurezza dei prodotti e prolungarne la conservazione.