Racconta Platone nel Crizia che l'oricalco era uno dei metalli più preziosi del perduto continente di Atlantide, secondo solo all'oro: nella sua leggendaria capitale, lo spettacolare tempio di Poseidone e Clito era rivestito, oltre che di avorio e oro, proprio di oricalco, la cui resistenza era così proverbiale che neanche le lance riuscivano a scalfirlo. Se dessimo fede alle parole del filosofo la scoperta avvenuta dieci giorni fa al largo della costa siciliana di Gela ci farebbe allora pensare che, forse, nelle profondità del Mediterraneo si celano i resti della misteriosa Atlantide. Infatti un'operazione coordinata dalla Guardia di finanza di Palermo e dalla Sovrintendenza di mare ha portato alla luce un preziosissimo “bottino”: due elmi corinzi, un'ampolla proveniente dall'antica colonia greca di Marsiglia, un'anfora e soprattutto 47 lingotti di oricalco.
In realtà, ben al di là delle suggestioni mitiche, questo metallo altro non è che una lega di rame e zinco, dal colore dorato, che costituiva un materiale utilizzato di frequente nell'età antica per coniare monete: i sesterzi romani di età augustea, per esempio, sono spesso fabbricati con questa lega. Nel Medioevo invece l'oricalco viene impiegato nella creazione di strumenti musicali a fiato come trombe e chiarine, tanto che il suo nome diventerà sinonimo della tromba di guerra.
Dunque, lasciando da parte il fascino arcano della civiltà scomparsa, il rinvenimento effettuato nelle acque siciliane resta comunque di grande valore, dal momento che soltanto in un'altra occasione, nel dicembre 2014, era stato ritrovato un numero così cospicuo di lingotti di oricalco – allora furono 37 – nel nostro Mediterraneo. Un indizio in più della straordinaria storia di questo mare e degli incredibili tesori che cela ancora nelle sue profondità, giacché solo in quel tratto di costa si contano tre relitti di navi antiche: una mecca per gli archeologi di tutto il mondo, ma anche un patrimonio inestimabile che è necessario tutelare e difendere dall'incuria, dall'inquinamento e dalle predazioni dei tanti “tombaroli” marini e dei collezionisti senza scrupoli.