È sicuramente una delle scoperte dell'anno e testimonia quanto ancora ci possono rivelare i grandi capolavori del passato se esaminati con i nuovi supporti tecnologici. Stiamo parlando di una delle opere capitali di Leonardo Da Vinci, La vergine delle rocce, un quadro per il quale ogni giorno si affollano i visitatori del Louvre di Parigi. Le ricerche condotte da Silvano Vinceti, presidente del Comitato Nazionale per la Valorizzazione dei Beni Storici, hanno infatti portato all'identificazione di un nuovo e interessante particolare rimasto nascosto per oltre 500 anni: un cane al guinzaglio celato dietro il fogliame che ricopre la volta della grotta alle spalle della Madonna.
La presenza dell'animale non è solo una testimonianza dei ripensamenti compositivi del geniale artista, ma consente di dare una lettura diversa e affascinante a tutta la scena: non dobbiamo dimenticare che nella pittura antica il significato simbolico non è un aspetto secondario di un'opera, ma anzi per gli spettatori dell'epoca, in grado di decifrare immediatamente i riferimenti iconografici, assume un valore estetico fondamentale. In questo caso, sappiamo dai suoi scritti come Leonardo assegni al fedele amico dell'uomo un preciso senso, ovvero l'obbedienza, rafforzato ulteriormente da quel guinzaglio che lo lega in modo indissolubile alla mano del padrone: trasposto in termini religiosi, ecco che la figura diventa il simbolo dell'uomo rispettoso di Dio e dei suoi comandamenti. Dunque, come sostiene Vinceti « quel cane con guinzaglio messo sopra san Giovanni Battista nella composizione è l'atto d'accusa che Leonardo fa della corruzione del papato di allora che privilegiava il potere temporale rispetto a quello spirituale. Leonardo utilizza il dipinto per esprimere il suo pensiero e la richiesta di un rigoroso Cristianesimo che riprenda l'esempio di Dio per i Comandamenti e di Gesù come espresso nei Vangeli. Una dura seppur allegorica reprimenda indirizzata alla curia vaticana e al soglio pontificio, retto in quel periodo da Sisto IV prima e Innocenzo VIII poi, e segnato dal nepotismo e da un interesse preminente verso le questioni terrene.
La considerevole scoperta è stata possibile grazie a un mix intelligente tra le moderne tecnologie e strumenti più semplici e tradizionali, come spiega ancora Vicenti: «una lente di ingrandimento speciale ci ha permesso di riesaminare attentamente ogni particolare del dipinto e poi photoshop avanzato, un software che permette di fare sovrapposizioni, scomposizioni e ricomposizioni».