Si chiama energia a gradiente salino e potrebbe diventare la nuova frontiera delle rinnovabili. Si tratta dell'energia prodotta dalla differenza di salinità tra l'acqua dolce e quella salata e sfrutta il processo di osmosi che spinge un liquido a muoversi da una zona a minore concentrazione salina verso una a maggiore concentrazione: una fonte pulita che si trova in gran quantità nel mondo, praticamente dovunque ci sia l'estuario di un fiume che si getta nel mare. Le ricerche su questo tipo di energia sono iniziate già negli anni Settanta ma è negli ultimi decenni che sono stati compiuti dei significativi passi in avanti per migliorarne la tecnologia in termini di efficienza e costi di produzione.
Il 2009 rappresenta un anno d'oro. Prima, un team olandese progetta un prototipo di batteria in grado di ottenere un'ottima resa con un minimo impatto ambientale: secondo gli scienziati la cosiddetta “Blue Energy”, se impiegata alla foce di un fiume come il Reno, potrebbe produrre fino a 1 gigawatt di elettricità, pari al fabbisogno di una grande città. Poco tempo dopo un fisico italiano, Doriano Brogioli, mette a punto un supercondensatore capace di ricavare 1 kilowatt di corrente da un flusso d'acqua di un litro al secondo: vale a dire, sostiene Brogioli, che con l'alimentazione di un fiume come il Po si potrebbe ottenere lo stesso quantitativo di energia di una moderno impianto nucleare. Infine nel novembre dello stesso anno a Tofte, in Norvegia, viene inaugurata anche la prima centrale osmotica, esempio concreto, benché ancora modesto, dell'applicazione di questa rinnovabile.
Oggi una nuova scoperta, proveniente dalla Pennsylvania State University, potrebbe aiutare la diffusione dell'energia a gradiente salino. Il professore Chris Gorski, ingegnere civile, ha infatti sperimentato un sistema che ricorda il funzionamento della pila. In questo dispositivo l'acqua salata e quella dolce vengono pompate nei due lati opposti di una cella, separati con un foglio di carta che fa da filtro e riduce al minimo il mix fra i due liquidi e a contatto con due elettrodi: attraverso l'interazione degli ioni del sodio e del ferro degli elettrodi si formano delle cariche energetiche pari a 0,4 watt per metro quadro. Se questa soluzione venisse ricreata in grande, renderebbe possibile la progettazione di impianti in grado di alimentare ampie porzioni di territorio. Molti scienziati si dicono scettici sulle effettive garanzie di rendimento di questa tecnologia, evidenziando per esempio la difficoltà di costruire apparecchiature simili alla confluenza degli oceani o sostenendo che potrebbe funzionare solo in ambienti particolari come i grandi laghi salati. Obiezioni legittime, ma che non devono limitare gli sforzi nella direzione di una risorsa energetica che potrebbe costituire un nuovo importante capitolo delle fonti rinnovabili.