«Io Galileo, [...] avendo davanti gl'occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l'aiuto di Dio crederò per l'avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa». Così comincia la famigerata abiura cui è costretto Galileo Galilei la mattina del 22 giugno 1633 dal tribunale del Santo Uffizio della Chiesa cattolica. La ritrattazione è l'epilogo di una vicenda estenuante che coinvolge un uomo la cui colpa maggiore è quella di credere fermamente nelle proprie idee e nell'autonomia della scienza. Ma come si era arrivati a imbastire un processo contro una semplice teoria astronomica come quella del moto della Terra?
Al centro della discordia c'è il capolavoro di Galileo, il Dialogo sopra i due massimi sistemi, pubblicato nel 1630 dopo una lunga gestazione: non un complicato trattato scientifico bensì una vera opera di divulgazione, un piacevole dialogo letterario nel quale viene confutata la tesi tolemaica, viene messo in discussione l'universo aristotelico e sono descritte le leggi sul movimento dei pianeti. Dunque un libro destinato a un'ampia platea e non alla ristretta cerchia degli addetti ai lavori, primo motivo per attirare l'ostilità delle gerarchie ecclesiastiche, che temono la diffusione di idee che possono far scricchiolare l'impalcatura culturale cattolica.
Alla pericolosità delle teorie si aggiungono anche intrighi vaticani, come dimostra la storia editoriale del volume. Infatti il Dialogo non compare sottobanco o in forma anonima, Galileo è sereno perché ha ottenuto il via libera alla pubblicazione da parte della Chiesa, il cosiddetto imprimatur. Purtroppo lo scienziato paga l'amicizia con alcuni personaggi invisi al papa Urbano VIII, in particolare Giovanni Ciampoli, influente uomo di corte che si era occupato proprio dell'autorizzazione alla stampa: quando Ciampoli verrà epurato dal pontefice per aver appoggiato una fazione avversa, la sua condotta verrà attentamente passata al setaccio e a farne le spese sarà anche il Dialogo. L'opera verrà riletta con occhio molto più critico, le iniziali e modeste revisioni consigliate a Galileo non basteranno più, la teoria eliocentrica diventerà «più perniciosa della dottrina luterana e calvinista», vale a dire più pericolosa persino di quella teologia che aveva provocato uno scisma in seno al cristianesimo.
Il 12 aprile 1633 si apre dunque un processo, il cui imputato è un uomo avanti con l'età, lo scienziato ha quasi settant'anni, accusato di falsificazione dell'imprimatur – perché non è possibile che il Sant'Uffizio abbia avallato uno scritto simile – e addirittura di eresia. Dopo due mesi di interrogatori e testimonianze si giunge al momento della sentenza: Galileo è condannato al carcere a Roma, poi commutato in residenza coatta, e all'abiura. Quest'ultima viene compiuta secondo un cerimoniale decisamente umiliante: lo studioso è obbligato a inginocchiarsi durante la lettura del verdetto, e in questa stessa posizione rinnega radicalmente le proprie idee pronunciando frasi di questo tenore «abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie […] e giuro che per l'avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione».
Galileo si ritirerà, in “libertà vigilata”, nella sua villa di Arcetri, dove si spegnerà nove anni più tardi, nel 1642: nonostante la messa all'indice, le sue teorie si diffonderanno rapidamente in tutta Europa. Solo a partire dall'Ottocento, con il permesso di pubblicazione del Dialogo, la Chiesa avvierà la sua riabilitazione, che si completerà ufficialmente nel 1992 per mano del papa Giovanni Paolo II: ci sono voluti oltre tre secoli e mezzo al Vaticano per riconoscere pubblicamente la grandezza di Galileo.
Per approfondire il genio straordinario di Galileo Galilei guarda il racconto di Enrico Bellone